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I coralli come termometro del clima
 

autore:    Paolo Montagna [07-05-2008]


Più o meno all?inizio del secolo scorso una piccola larva trovò un luogo confortevole dove sistemarsi, nei pressi dell?isola di Ustica, nel Mediterraneo centrale. Si trattava di una larva di un polipo del corallo appartenente alla specie Cladocora caespitosa, unica specie di corallo che forma nel Mare Nostrum delle piccole scogliere simili, seppur a scala minore, a quelli che si possono incontrare nei mari tropicali.
Il corallo cresceva e pian piano dal polipo genitore nascevano altri piccoli individui che insieme formarono una colonia molto grande ed estesa nei fondali dell?isola.
Quasi 100 anni dopo, alcuni geologi marini dell?ICRAM (il centro italiano per le ricerche marine), iniziarono ad immergersi nella zona, perlustrando le profondità di questa isola vulcanica che si trova nel Golfo di Palermo. Con grande sorpresa trovarono ciò che speravano di trovare: un corallo con una storia climatica da raccontare.
Qualche anno prima era iniziato uno studio specifico sulla Cladocora con lo scopo di capire in dettaglio i segreti nascosti nello scheletro carbonatico di questo organismo marino. La composizione chimica di piccoli frammenti di Cladocora è stata studiata lungo le bande di accrescimento del corallo. Era la prima volta che si scrutava la composizione chimica di questa specie, cercando il modo di poterla utilizzare come archivio del clima.
Ma come si traduce una ?composizione chimica? in informazione utile ? cerchiamo di capire come funziona il termometro del corallo.
Ogni corallo si accresce e forma uno scheletro carbonatico di aragonite, un minerale del carbonato di calcio. Giorno dopo giorno sviluppa dei piccoli accrescimenti che sovrapposti formano bande stagionali, simili agli anelli che compongono il fusto di un albero. Nei coralli, il chimismo dello scheletro varia leggermente al variare della temperatura dell?acqua in cui si forma. In particolare alcuni elementi, come lo stronzio, il boro e il litio, sono più sensibili alle variazioni di temperatura e quindi possono diventare degli indicatori del clima. All?aumentare della temperatura del mare la concentrazione di questi elementi nell?aragonite diminuisce seguendo un andamento lineare. In questo modo lo scheletro dei coralli diventa un registro climatico continuo del passato. Come un diario, ogni corallo registra nelle sue pagine preziose informazioni climatiche.
Volendo si può scendere ancora più nel dettaglio, rendendo queste ricerche ancora più affascinanti. Alcuni piccoli frammenti di Cladocora campionati nell?Alto Adriatico furono portati dal Mar Mediterraneo fino in Australia dove si trova uno dei laboratori chimici più importanti al mondo per lo studio dei coralli. Qui, abbinando uno strumento sofisticato chiamato spettrometro di massa ad un sistema laser si riesce ad analizzare la concentrazione chimica dello scheletro dei coralli in un?area molto piccola. O per meglio dire, si riesce a leggere questo diario pagina per pagina, addirittura frase per frase, decifrando la storia climatica degli ultimi secoli con un dettaglio mai ottenuto prima. Queste ricostruzioni si possono spingere al di là delle informazioni ottenute strumentalmente. I termometri ed i satelliti sono strumenti precisi per il monitoraggio della temperatura degli oceani ma purtroppo hanno iniziato il loro lavoro di acquisizione in modo continuo e sistematico solo pochi decenni fa, non permettendo quindi di coprire la storia pre-industriale. La possibilità di avere dei dati storici del clima, che coprono periodi di tempo dove satelliti e termometri ancora non esistevano, rappresenta un passo importante nello studio dell?evoluzione del clima e nella comprensione degli scenari di cambiamento futuri. I matematici e i fisici che lavorano con simulazioni del clima, cercando di prevedere l?evoluzione nei prossimi anni, hanno bisogno di testare o mettere alla prova i modelli climatici e l?unico modo per farlo è ?simulare? il passato, confrontando i dati restituiti dai modelli con le ricostruzioni paleoclimatiche.
Quanto più un modello matematico riesce a ricreare le condizioni del passato tanto più riesce a prevedere con precisione il futuro. Tanto più riusciamo a tornare indietro con le ricostruzioni paleoclimatiche tanto più i modelli diventano accurati.

Nei mari tropicali dell?Australia, del Centro-America e delle coste orientali dell?Africa già da anni gruppi di paleoclimatologi ?leggono? il diario climatico delle barriere coralline. Grandi colonie composte da migliaia di piccoli individui vengono opportunamente studiate.

Ma come si opera ? Geologi e biologi marini estraggono un piccolo cilindro che attraversa millimetro dopo millimetro le bande di accrescimento del corallo. Come nelle grandi perforazioni del ghiaccio dell?Antartide, queste carote di carbonato di calcio custodiscono l?essenza dello studio paleo-climatico e una risposta per capire l?evoluzione climatica futura. Gli studi delle barriere coralline tropicali hanno contribuito a mettere in luce come negli ultimi 400 anni il clima abbia avuto delle profonde trasformazioni, passando da un periodo freddo, detto Piccola Età Glaciale, al riscaldamento o, per meglio dire, surriscaldamento attuale.
Durante la Piccola Età Glaciale, tra il 1350 e il 1850, il clima della Terra era molto diverso da quello che percepiamo oggi. L?Europa e il Nord America erano terre con estati più fresche ed inverni più rigidi. I ghiacciai occupavano ampie valli che oggi sono rigogliose distese verdi. I dipinti che descrivevano Venezia mostrano donne e bambini che pattinavano nei canali. Era anche il tempo delle carestie, dei raccolti improduttivi, delle malattie e delle migrazioni di massa. I coralli registrarono una temperatura media dei mari di 1,5°C inferiore a quella attuale e un aumento progressivo durante gli ultimi 150 anni, dalla rivoluzione industriale in avanti.

In questo modo, la comprensione delle dinamiche marine del passato nelle diverse aree del nostro Pianeta offre la possibilità di capire meglio come il clima potrebbe cambiare in relazione all?aumento della concentrazione nell?atmosfera di anidride carbonica, uno dei gas serra più pericolosi, dovuto all?uso indiscriminato del petrolio o altre attività antropiche.
Ed è proprio qui che lo studio di un piccolo organismo come il corallo Mediterraneo trova il suo significato più profondo. La piccola larva che circa 100 anni fa iniziò a svilupparsi nei fondali di Ustica formando piano piano una colonia sempre più estesa, custodisce oggi un archivio del clima unico che deve essere letto ed interpretato.
Strumenti di analisi sempre più precisi e sofisticati aiutano a decifrarne il prezioso contenuto, fornendo ai modellisti la base storica per comprendere i limiti delle proprie previsioni matematiche.