:: VIAGGI :: ESCURSIONI / WEEKEND :: EVENTI :: PROSSIME PARTENZE :: GUIDE KAILAS
:: INFO & UTILITY
 
Geological Tours

Autori:

 

Groenlandia ... tratto dal libro di Robert Peroni
 

autore:    Marco Montecroci [17-12-2013]

Robert Peroni, un italiano che da oltre trent'anni vive in Groenlandia, innamorato di questa terra, innamorato dei suoi uomini. In questi giorni si è visto spesso in Italia, in trasmissioni televisive e presentazioni presso librerie, per lanciare il suo libro che racconta questa terra vista dai suoi occhi. Il titolo è: DOVE IL VENTO GRIDA PIU' FORTE, la mia seconda vita con il popolo dei ghiacci.



Kailas collabora con Robert dal 2001 organizzando piccole spedizioni che permettono anche a gente normale di scoprire questa terra e si sente onorato nel supportare Robert e l'editore Sperling & Kupfer nel lanciare questo romazo. Quì di seguito un brano tratto dal libro; a lato oltre la copertina, immagini dell'archivio Kailas scattate durante i viaggi.




Tratto dal libro "DOVE IL VENTO GRIDA PIU' FORTE" di Robert Peroni


.....

Credo che all’origine dei continui avvistamenti, degli eventi inspiegabili e dei misteri che si verificano in Groenlandia ci sia la solitudine, che qui è un concetto diverso da come lo intendiamo noi occidentali. Non si tratta di non avere un amico con cui passare del tempo o una compagna, né di ritrovarsi a partire da soli o non ricevere telefonate. Qui la solitudine è assoluta: l’immensità del territorio produce un silenzio assordante, e l’uomo è sovrastato dalla maestosità della natura. È una solitudine che può essere tanto terrificante quanto meravigliosa, perché rende più accorti: le orecchie si tendono ad ascoltare i rumori, anche i più lievi, e lo sguardo si apre a ogni più piccolo dettaglio.



Per diversi mesi all’anno in questa terra l’udito si sintonizza sul sibilo del vento o della neve, nient’altro: questo può anche spaventare, ma offre la possibilità di percepire molto di più, di entrare in uno stato fisico e psichico completamente nuovo.
Il soffio del vento inizia così a diventare musica, a raccontare le storie dell’altopiano, il dramma di chi non è sopravvissuto in mezzo al ghiaccio, ma anche la gioia di chi sul ghiaccio ha costruito una famiglia, una vita. Qui i venti sono catabatici: nascono nei ghiacciai, scendono verso la pianura spazzando la neve e ritornano su in cielo a raccogliere nuova forza. Parlano di corse affannate di animali in cerca della loro preda, o di uomini intenti a costruire un rifugio per sopravvivere alla notte.
Il demone, per gli inuit, è un essere umano e sovrumano al tempo stesso. Come gli uomini, ha un suo carattere: si può arrabbiare, può essere amico o nemico, buono o cattivo secondo i giorni. Qui non esiste nulla di esclusiva mente bianco o nero, la visione manichea non appartiene a questo popolo.
Il mare, per esempio, è un demone femmina con lunghi capelli in cui sono intrappolate migliaia di foche. È amica quando permette di pescare, nemica quando si ghiaccia e impedisce di navigare. Gli inuit la temono perché si dice abbia un carattere difficile, e bisogna impegnarsi a fondo per convincerla a liberare le preziose foche impigliate nella sua chioma.




Anche il vento ha un’anima, anzi due. Quello caldo, che viene dal mare, è un demone femminile; quello gelido, che scende dall’altopiano, è invece maschile, e porta il freddo e la paura.
Ricordo la prima volta che un ragazzo di Tasiilaq mi ha raccontato che cosa rappresenta l’aurora boreale per la gente di qui: le scintille delle anime dei neonati mentre giocano a palla. La trovavo una spiegazione molto poetica, ma per me l’aurora boreale restava un fenomeno ottico dell’atmosfera terrestre. Tuttavia, dopo averne viste dieci, cento, mille per così tanti anni, ho cominciato anch’io a intravedere quei bambini: prima solo uno, poi due, tre, finché ho iniziato a riconoscere in quel tripudio di luci e riflessi anche un pallone, di quelli che si usano qui, cuciti dalle mamme con le pelli di foca.
Il sole è una cosa più stabile: ogni tanto più freddo o più caldo, ma è sempre il sole. Invece l’aurora boreale, che qui si vede tutto l’anno tranne d’estate, è come un terremoto nel cielo: è un fenomeno velocissimo, impercettibile; nel momento stesso in cui lo osserviamo non possiamo prevedere quello che succederà un secondo dopo. È come una battaglia di sfere celesti, un impazzimento cromatico che però avviene nel silenzio più assoluto. Silenzio della natura e silenzio degli uomini, che lo guardano a bocca aperta, con quell’atteggiamento di rispetto e timore tipico del popolo inuit.




Più si guarda in alto, più le sfumature rosse virano al giallino, poi al verde. Ci sono luci che da diecimila metri di altezza precipitano in pochi istanti verso il basso, fino quasi a toccare terra. È una luce, certo, ma è molto di più. Io la vedo come una sinfonia colorata. Per noi occidentali la luce è luce e la notte è notte, ma qui si prova tutt’altra sensazione, che impressiona in senso positivo. E questo mi fa pensare, ancora una volta, che qualcosa in questo mondo non è come l’abbiamo letto nei libri.